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Finalmente, Obama!

Finalmente.

Finalmente l’era Bush è finita, sconfitta senza appello a furor di popolo. Gli americani ci dicono oggi che c’è un’altra via per affrontare i problemi e le sfide dei nostri tempi, che non è obbligatorio reagire alla crisi e all’insicurezza con la guerra e il militarismo, l’oscurantismo religioso e il razzismo, la distruzione dei diritti sociali e delle libertà civili.

Barack Obama è riuscito a intercettare un bisogno forte di cambiamento morale e ideale.

Le lacrime di Jassie Jackson la dicono lunga sul gigantesco valore simbolico di questa elezione per un paese che quaranta anni fa vide l’assassinio di Martin Luther King, per un pianeta ancora fondato sul neocolonialismo, per una Europa dove avanzano ovunque nuovi razzismi e forze neo-naziste.

Negli Stati Uniti è avvenuta una riconnessione fra politica e società civile che è un sogno in molti altri paesi occidentali. Obama non ha vinto perché tanta gente lo ha votato, con una partecipazione al voto straordinaria. Ma tanta gente lo ha votato perché milioni di persone hanno deciso di partecipare attivamente e da mesi alla campagna elettorale, di scommettere per la prima volta da decenni sulla partecipazione politica.

Sarà difficile, lo sappiamo. Dopo la vittoria, Obama ha detto che il cambiamento non è quello che è avvenuto con questo voto, ma il percorso che comincerà e per il quale egli si considera al servizio. Sono parole importanti, in una epoca dove personalismo, leaderismo e populismo sembrano farla da padroni, nelle elite politiche.

Lo ha detto ai suoi elettori: verrà il tempo per le critiche e le contestazioni. Ma c’è un tempo per ogni cosa. E oggi per noi è il tempo per festeggiare e sperare, insieme ai movimenti degli Stati Uniti con cui da anni lavoriamo per costruire un mondo diverso. Vogliamo oggi sperare che dal continente americano possa venire una svolta decisiva in un momento drammatico per la vita del pianeta.

La crisi finanziaria, ecologica, sociale, alimentare, dei prezzi e del lavoro dilaga nel nord e nel sud del mondo. All’esclusione degli ultimi si aggiunge il progressivo e inesorabile impoverimento delle classi medie e produttive. Negli Stati Uniti, Obama ha vinto perché le vittime del capitalismo selvaggio hanno deciso di smetterla con la guerra fra poveri che per decenni ha contrapposto bianchi e neri, yankee e latinos, garantiti e precari. E’ la lezione più importante, che la società italiana può apprendere dal voto americano.
ARCI

 

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